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Apparve Atlantide
Immenso isole e montagne
Canali simili ad orbite celesti
Il suo re Atlante
Conosceva la dottrina della sfera
(Franco Battiato, "Atlantide")
Di cosa si tratta - Prima parte - Atlantide - Seconda parte - Invito alla caccia al tesoro
Di cosa si tratta
Prendo lo spunto da un libro per parlare di un argomento,
la triplice cinta,
che Wikipedia giustamente distingue dal
gioco del mulino o filetto.
Curiosamente Wikipedia in inglese non ha questa distinzione e nella pagina del
Nine men's morris,
pur riconoscendone le origini antiche, viene descritto solo come gioco.
La stessa cosa vale per Wikipedia in francese nella pagina dello
Jeu du moulin.
L'autrice del libro è ben conosciuta in rete da chi si interessa di argomenti archeologici misteriosi, di confine diciamo così.
E' l'ideatrice, autrice e curatrice dei due siti
Due passi nel mistero e
Due passi nel mistero 2 (*),
nonché del sito specifico
centro studi triplice cinta.
Questo non è l'unico libro dell'autrice sull'argomento, ma se non ho capito male è il primo che ha pubblicato, insieme a
Giulio Coluzzi.
Ce ne sono anche due in inglese, che nella bibliografia si trovano con nel titolo "Merels board" (uno dei sinonimi di "Nine men's morris").
Prima parte
Nella prima parte del libro c'è un'analisi a tutto tondo dell'oggetto/simbolo, mentre nella seconda parte c'è un censimento per regione e città.
"A tutto tondo" nel senso che il libro analizza tutti gli aspetti ludici, storici, antropologici, riassume tutte le casistiche, analizza simboli equiparabili,
insomma oltre a ciò che ha attinenza all'argomento c'è tutto quello che può avere qualche collegamento col simbolo, perché di simbolo si tratta.
Il punto di partenza dell'intera opera infatti è molto semplice e, a mio avviso, assolutamente condivisibile:
questo disegno, che nella stragrande maggioranza delle volte è inciso nella pietra, è quasi sempre in verticale,
e quindi è assolutamente impensabile che sia stato pensato per scopi ludici (poi sono venuti anche quelli: l'essere un gioco non è incompatibile col simbolo).
Certo in qualche caso è posto orizzontalmente, e in altri casi si può pensare che la pietra sia stata riciclata per la costruzione,
ma le eccezioni non intaccano la regola.
Il caso di partenza personale dell'autrice, quello che ha stimolato la sua curiosità, è uno dei graffiti del
castello di Chinon
attribuiti ai templari, e in particolare al gran maestro Jacques de Molay trattenuto da Fillippo il Bello al castello nel 1308 per evitare un'eventuale assoluzione da parte del pontefice.
Per quello che riguarda l'aspetto ludico, c'è un intero capitolo dedicato. Al di là delle regole e della diffusione del gioco,
vengono segnalati quei casi che indiscutibilmente, perlomeno in tempi recenti, vengono usati per giocare.
Ma viene altresì sottolineato come molti giochi tradizionali nascano da simboli od oggetti esoterici, o comunque a forte valenza esoterica, come ad esempio gli scacchi o le comuni carte da gioco
che derivano dai tarocchi. Curiosamente non viene segnalato un esempio ancor più eclatante e assonante: il gioco della campana che
ricorda molto l'albero delle sefirot.
Appurato ciò non resta che ammettere che perlomeno in origine si trattava di un simbolo, sia esso sacro o che ricordava qualche evento storico o tutte e due le cose assieme,
come la croce per i cristiani.
Nell'analisi della triplice cinta come simbolo, a parte alcune considerazioni che mi sembrano un po' forzate come l'associazione con il labirinto,
l'autrice si rifà in gran parte a
René Guénon e a un suo articolo sulla rivista "La Voile d'Isis" del 1929,
ma che troviamo anche nel capitolo "la triplice cinta druidica" dei "Simboli della Scienza sacra" (1962).
A sua volta Guénon nel 1929 era partito da un articolo di Paul Le Cour che nel 1928 sulla rivista "Atlantis" parlava di una pietra druidica con la triplice cinta,
che l'autore supponeva fosse addirittura posizionata nel luogo del convegno annuale dei druidi.
Guénon si sofferma sul fatto che nella triplice cinta possono coesistere più significati, più rimandi, più interpretazioni,
sia come simbolo (vedi ad esempio i tre gradi di inziazione) che come rappresentazione (vedi ad esempio rispetto alla Gerusalemme Celeste).
Nel quarto capitolo incentrato sul concetto "centro sacro" che potrebbe essere rappresentato dalla triplice cinta,
gli autori del nostro libro ci portano ancora più addentro nelle le possibili affinità con l'esoterismo, facendo un excursus veramente ampio tra tutte le tematiche in otto paragrafi:
l'Omphalos, i betili, i sensi simbolici del centro sacro, energie della Terra, Acqua, pozzi e sorgenti, Ipogei.
Atlantide
Non mi dilungherò oltre sulla prima parte, non voglio scrivere un condensato del libro, però tra le varie ipotesi (che non si escludono a vicenda) vorrei soffermarmi solo un attimo sulla questione di Atlantide. Già Le Cour/Guénon avevano osservato questa similitudine, e partendo da un simbolo "notato parecchie volte" sia sull'acropoli, che sul Partenone, che sull'Eretteo, ovvero da un quadrato diviso in otto dalle due diagonali e dai due assi, Guénon scrive:
L'interpretazione del simbolo in questione come figura di una triplice cinta ci pare assai giusto; e Le Cour stabilisce a questo proposito un collegamento con ciò che dice Platone, il quale, parlando della metropoli degli atlantidi, descrive il palazzo di Poseidone come un edificio al centro di tre cinte concentriche collegate fra di loro da canali, il che costituisce effettivamente una figura analoga a quella in questione, però circolare anziché quadrata.
L'ultima osservazione, "però circolare anziché quadrata", dovrebbe essere parecchio familiare agli appassionati dell'universo di
Martin Mystère,
il personaggio creato dalla geniale mente del compianto Alfredo Castelli, sebbene nel simbolo atlantideo che vediamo riproposto nelle storie (e nei gadget) le cinte siano solo due.
Che siano due o tre sulla loro circolarità sembrerebbero non esserci dubbi, eppure io qualche perplessità ce l'ho.
Andando direttamente alla fonte, cioè nell'incompleto dialogo del Crizia, troviamo su
Wikipedia
il passaggio a cui tutti sembrano fare riferimento, il 113d:
"[Poseidone] recinse la collina dove ella [Clito] viveva, alternando tre zone di mare e di terra in cerchi concentrici di diversa ampiezza, due erano fatti di terra e tre d'acqua".
Però poco oltre, nei passaggi 118 a-b-c viene descritta l'isola nel suo complesso:
Abbiamo dunque riferito ora press'a poco quanto a quel tempo si disse della città e dell'antica dimora; cerchiamo allora [118a]
di richiamare alla mente quale fosse la natura del resto del paese e come fosse organizzato.
In primo luogo il territorio si diceva che fosse alto e a picco sul mare, mentre tutt'intorno alla città vi era una pianura,
che abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme,
tutta allungata, lunga tremila stadi sui due lati e al centro duemila stadi fin giù. [118b]
Questa parte dell'isola era rivolta a mezzogiorno e al riparo dai venti del nord.
[...] Questa pianura in lungo lasso di tempo, per opera della natura [118c] e di molti re,
prese dunque la seguente sistemazione.
Aveva, come ho già detto, la forma di un quadrilatero, rettilineo per la maggior parte, e allungato,
ma là dove si discostava dalla linea retta lo raddrizzavano per mezzo di un fossato scavato tutt'intorno:
ciò che si dice della profondità, larghezza e lunghezza di questo fossato non è credibile,
che cioè opera della mano dell'uomo potesse essere di tali dimensioni, oltre agli altri duri lavori che aveva comportato.
[...] Riceveva i corsi d'acqua che discendevano dai monti e girava intorno alla pianura,
arrivando da entrambi i lati fino alla città, da lì poi andava a gettarsi nel mare.
Dalla parte superiore di questo fossato canali rettilinei, larghi circa cento piedi, tagliati attraverso la pianura,
tornavano a gettarsi nel fossato presso il mare, a una distanza l'uno dall'altro di cento stadi.
Questo estratto l'ho copiato pari pari dalla mia edizione, il lussuoso cofanetto "Tutte le opere - Platone" della Newton Compton
(casa editrice che ringrazio vivamente per aver messo a disposizione a prezzi estremamente popolari i grandi classici di tutte le epoche).
Ho copiato direttamente la traduzione perché non conosco il greco antico (e neanche quello moderno), e riesco a malapena a riconoscere quasi tutte le singole lettere, per dire.
Quindi chi sono io per mettermi a contestare Paul Le Cour, René Guénon, Alfredo Castelli e l'autore della voce su Wikipedia?
Mi limito a far timidamente presente che qualcosa di quadrato (forse) c'era e che potrebbe ricordare (forse) la nostra triplice cinta.
Seconda parte
La seconda parte è un censimento, un elenco di triplici cinte italiane che ovviamente non vuole essere esaustivo.
I singoli capitoli rappresentano le regioni italiane in ordine non propriamente ortodosso (Marche, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, ecc,).
Ci sono quasi tutte, mancano all'appello Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Il che non vuol dire che in queste regioni non ci siano triplici cinte, anzi lo riterrei probabile, ma semplicemente gli autori non sono andati in loco a documentarle
(sicuramente in qualche lavoro successivo avranno ampliato la selezione).
Non starò ad elencare tutte quelle segnalate, e a scanso di polemiche sul copyright come immagini metto le mie foto di due triplici cinte, quelle di Verona città, peraltro non segnalate nel libro,
e una in particolare mi sembra non sia neanche segnalata nel sito.
Citerò solo qualche esempio peculiare, o comunque particolarmente degno di nota.
Il primo è quello di
Osimo
che apre la sezione facendo diventare prima regione in elenco le Marche.
Si tratta dell'unico caso in cui il rilievo non è in superficie ma sotto terra, e precisamente sotto il palazzo Hercolani Fava Simonetti.
Oltre al posizionamento c'è un'altra particolarità: non si tratta di una triplice cinta, bensì di una quadruplice cinta,
però l'aspetto è talmente sovrapponibile che gli autori hanno, giustamente, deciso di includerla.
In tutti i siti segnalati ci sono le indicazioni per raggiungerli, tipo guida turistica, che però a mio avviso sono un po' superati nell'era di Internet e degli smartphone.
Di mio posso aggiungere che sono stato di recente ad Osimo e all'ufficio del turismo mi hanno confermato che tranne quello comunale,
che inizia dove c'è l'ufficio stesso, gli altri sotterranei sono privati e non visitabili, a meno di non far richiesta ai proprietari
(e immagino avendo delle credenziali che giustifichino l'interesse).
Poi c'è il caso di quella di Venezia, che si trova sul lato esterno della Basilica di San Marco, che è in orizzontale e posizionata dove tutti i turisti stanchi si riposano.
Piuttosto consunta da secoli di natiche che ci si sono sedute sopra non è eccezionale dal punto di vista visivo e si presta bene ad essere considerata per scopo ludico.
Però da questa triplice cinta gli autori partono con una serie di ipotesi che non si trovano nella prima parte e che forse, diciamocelo pure,
sono a tratti un po' troppo esagerate, sensazionalistiche, e che in molti casi si adatterebbero solo a questo sito.
Questa triplice cinta potrebbe:
- contrassegnare un punto particolare per un tesoro (ipotesi decisamente romanzesca)
- lasciare un segno come testimonianza di un viaggio fatto (a Gerusalemme?)
- contraddistinguere un punto di particolare "energia"
- mettere un simbolo apotropaico laddove venivano eseguite sentenze capitali (nel qual caso si può dire che ha funzionato anche per il campanile che nel 1902 è crollato senza far vittime)
La chiesa di San Giovanni Battista a Bellagio sul lago di Como merita invece una menzione particolare per il numero di triplici cinte presenti: sono ben sette!
Gli autori accennano anche ad altre due incisioni possibili che però sono troppo sfumate per essere certificate.
Le sette ben delineate sono una diversa dall'altra per qualche minimo particolare, e su questo c'è un'analisi molto dettagliata.
Evidentemente tutta la provincia comasca ama abbondare: anche a Cressogno Valsolda troviamo più di una triplice cinta nello stesso sito,
e come per Venezia anche in questo paragrafo viene fornita un'altra ipotesi, o meglio somiglianza, del simbolo che non è compresa nella parte iniziale del libro:
"E' impressionante notare che la visuale delle prime due [triplici cinte] mostrate in foto, ricordi la prospezione planimetrica di una piramide a gradoni vista dall'alto".
Non ho voglia di chiedere il permesso alla casa editrice, quindi non pubblico le foto (ma comunque basta una piccola ricerca su
Google Immagini),
però bisogna ammettere che la similitudine può valere in generale anche per tutti gli altri casi.
Un'idea di cosa voglia dire "prospezione planimetrica" si può avere andando a vedere (ad esempio)
la piramide di Kukulkan a Chichén Itzà su Google Maps.
Un'ultima segnalazione che si ricollega a quanto detto sopra: gli autori riportano un'iconografia di uno stampo di fusione che si trova nel museo archeologico di Bergamo.
Tecnicamente non si tratta di una triplice cinta, ma il disegno riprodotto è tale e quale alla ricostruzione "standard" della pianta di Atlantide, con i tre cerchi concentrici.
Invito alla caccia al tesoro
I siti di cui sopra e in particolare quello del
centro studi triplice cinta
possono essere complementari al libro, ed essendo in continuo aggiornamento forniscono anche segnalazioni di triplici cinte non incluse nel volume.
Ma c'è anche un simpatico invito degli autori: trovatene anche voi delle altre e segnalatele.
Come tutti gli aspetti, fatti od oggetti fortiani, presi singolarmente dicono poco o niente, ma messi tutti assieme acquisiscono spessore e significato.
Cosa vogliono dirci queste triplici cinte? Cos'hanno in comune i siti che le ospitano?
E così via: più elementi ci sono più le domande acquisiscono importanza e significato.
Autori: Marisa Uberti, Giulio Coluzzi
Titolo: I luoghi delle triplici cinte in Italia
Tipologia: Brossura
Dimensioni: ** x ** cm
Pagine: ***
Editore: Eremon Edizioni
Anno di pubblicazione: Novembre 2008
ISBN: 978-88-89713-11-2
Prezzo: 19 Euro
(*)
Mi pare di capire che sono uno la continuazione dell'altro, e vedendoli direi che è una scelta legata allo sviluppo delle pagine web
più moderne senza dover riscrivere, rimaneggiare, tutta la mole di pagine fatte fino a quel momento:
è una scelta che probabilmente potrei dover fare anch'io un giorno dovendo abbandonare i vecchi frame, che a me piacciono tanto ma che sono deprecati.
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