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Ultimo aggiornamento: 21 Giugno 2025 (Messidor - Oignon)

Sono l'unico unicorno che c'è? L'ultimo?
[...] Non può essere così. Perché dovrei essere l'ultimo?
Cosa sanno gli uomini?
Il fatto che non abbiano visto unicorni per un po'
non significa che siamo tutti scomparsi.
Noi non scompariamo.
(Peter S. Beagle, "The Last Unicorn")

San Giorgetto - Museo di Castelvecchio - Museo Miniscalchi Erizzo - Museo di Storia Naturale

Unicorni a Verona

Spero di non dover spiegare cos'è un unicorno (nome decisamente parlante) o liocorno o monocero, così come spero di non dover ricordare cosa rappresenta: per tutto ciò c'è Wikipedia.
Quello che mi prefiggo come sempre in questa sezione, è cercare di dare uno sguardo originale su Verona.
Nota tecnica quasi personale: oltre a Wikipedia, per quello che riguarda San Giorgetto ho preso alcuni spunti e un paio di immagini dalla tesi di laurea di un ex collega, che però non saprei più come rintracciare per chiedergli il permesso (soprattutto per le immagini), e siccome non so se avrebbe piacere di essere citato in questo contesto non metto il suo cognome (che magari si offende). Alberto: se capiti su questa pagina scrivimi pure (mizzole e dominio) che sostituisco le immagini oppure ti cito per intero se preferisci.

San Giorgetto

L'alicorno, ovvero unicorno, per la sua intemperanza e non sapersi vincere, per lo diletto che ha delle donzelle, dimentica la sua ferocità e salvatichezza; ponendo da canto ogni sospetto va alla sedente donzella, e se le addormenta in grembo; e i cacciatori in tal modo lo pigliano.
(Leonardo da Vinci)

San Giorgetto in realtà non si chiama così, ma Chiesa di San Pietro Martire. Per i diversamente veronesi che sono passati o che passeranno dalla nostra bella città, diciamo si tratta della chiesetta che si può vedere sulla sinistra ponendosi di fronte alla facciata della ben più importante Basilica di Santa Anastasia.
In questa piccola chiesa, esattamente sopra la lunetta d'ingresso c'è un bellissimo affresco del Falconetto, rappresentante un "hortus conclusus".
Questa classica rappresentazione del giardino medievale, ci mostra al centro la Vergine con un Unicorno che, come dice il succitato Leonardo, "se le addormenta in grembo".

Se in generale il soggetto doveva essere "simbolo del Giardino dell'Eden e della verginità di Maria", qui lo vediamo trasformato da Falconetto in qualcosa di più. Ci sono elementi da bestiario medievale, da Wunderkammer, elementi che stupiscono e non sembrano essere proprio classici, perlomeno non per l'Italia. Nel nord Europa sì, ma già a Bolzano troviamo il tema della "Caccia mistica" del Chiostro della Chiesa dei Domenicani. Questo tema è ben descritto ad esempio dal "Fisiologo" di Berna:

V’è però un animale simile ad un capretto, che è tanto mite e ha un corno sulla testa. Ma quando si aggira correndo è catturato così: si ferma sulla sua strada una vergine castissima; appena la scorge, l’unicorno le si avvicina e del tutto mansueto si adagia nel suo grembo. Quando si è riscaldato, la fanciulla lo conduce precipitosamente alla corte del re, dal momento che nessun cacciatore è in grado di catturarlo. Similmente il nostro Salvatore, del quale il profeta dice: Egli ha eretto per noi un corno di salvezza nella casa di Davide.

Non siamo ancora in un quadro del Bosch, ma possiamo trovare: l’Arca di Dio ARCHA D[OMI]NI e un pellicano che nutre i propri piccoli con la propria carne, la "Turris eburnea" e la "Turris davidica" e altri simboli classici dell'iconografia medievale. Non mi soffermo sul significato di ognuno per non rendere ancor più tediosa questa pagina.
Ma oltre a tutti i simboli più classici troviamo anche un inconsueto struzzo chinato sui suoi piccoli e un'orsa, "VRSA FETVM ORE FIGVRAT": questi sì un po' più rari e forse più tipici dei bestiari medievali.
Potrei accennare che qualcosa di analogo l'ha proposto sempre Falconetto nella "Sala dei Mesi" a Mantova, però non solo andremmo fuori provincia e fuori regione, ma me lo riservo per parlarne in futuro su una pagina specifica.

Museo di Castelvecchio

Questo pomposamente trahevano sei atrocissimi monoceri, cum la cornigera fronte cervina, alla gelida Diana riverenti. Gli quali invinculati erano al vigoroso et equino pecto, in uno ornamento d’oro copioso de pretiosissime gioie, cum funiculi intorti de filatura argentea et di lutea seta lo uno cum l’altro artificiosamente innodantisi, politissimi nodi faceano, cum gli praestanti accessorii degli antiscripti.
(Francesco Colonna, "Hypnerotomachia Poliphili", p.169 e seguenti)

Passiamo da Giovanni Maria Falconetto (Verona, 1468 circa – Padova, 1535 circa) al di lui contemporaneo Liberale da Verona (Verona, 1445 circa – Verona, 1530), e spostandoci dritti lungo l'asse Corso Sant'Anastasia, Corso Porta Borsari, Corso Cavour arriviamo al Museo di Castelvecchio.
Qui troviamo la pregevolissima tavola di Liberale con rappresentati "Il Trionfo della Castità" ed "Il Trionfo dell'amore". E se il carro di quest'ultimo è trainato da quattro focosissimi stalloni, il carro de "Il Trionfo della Castità" è trainato da due "atrocissimi monoceri, cum la cornigera fronte cervina, alla gelida Diana riverenti". Stavolta Wikipedia non ci viene in aiuto, ma uno dei simboli di Diana, oltre al solito arco, è proprio la Cornucopia, però vuota: se Diana è la dea della castità e la Cornucopia è un simbolo di fertilità ecco che tutto torna. Si tratta della Diana ctonia, la Diana discesa agli inferi.
E siccome si parla di un corno e della dea della castità, chi altro poteva trainare il carro se non dei monoceri, ovveri degli unicorni?
Il paragone con l'economico libretto edito da Aldo Manuzio nel 1499 sorge spontaneo, e infatti da questo ho tratto la citazione di cui sopra. Confrontando poi l'immagine del terzo trionfo con quella coeva di Liberale da Verona si nota ancor meglio la somiglianza.
Evidentemente però non l'aveva colta il direttore del museo che nel 2015, avendo avuto il privilegio di esporre qualche metro più in là un'edizione originale del volume (sic!), l'ha lasciata aperta sul "Triumphus Primus", certamente molto bello, ma è stata a mio avviso un'occasione sprecata.

Sempre a Castelvecchio c'è un altro unicorno: si tratta de "La leggenda di Orfeo" di un anonimo "Pittore tedesco della metà del XVI secolo". Il quadro è molto interessante e meriterebbe un'analisi a parte, però l'unicorno nella fattispecie non sembra assumere un significato particolare, fa parte dei vari animali attirati dalla musica di Orfeo.

Museo Miniscalchi Erizzo

Uno scrittore di prosa cinese ha osservato che l'unicorno, a causa della sua stessa anomalia, passerà inosservato. I nostri occhi vedono ciò che sono abituati a vedere.
(Jorge Luis Borges, "La modestia della storia")

Giunti a questo punto qualcuno penserà che parlare di unicorni a Verona vuol dire parlare solo di rappresentazioni artistiche che riprendano il soggetto. No: passiamo pure alle prove fisiche dell'esistenza degli unicorni; la prima si trova nel piccolo, poco conosciuto, ma bellissimo Museo Miniscalchi Erizzo.
Avevo letto da qualche parte che questo coraggioso museo privato sopravvive di fatto grazie agli affitti di qualche immobile nei dintorni, eppure la sua esposizione meriterebbe almeno una visita sia da parte dei veronesi che dei turisti.
Sorvolando sull'arte, comunque ben rappresentata con dei pezzi pregevoli, per il nostro discorso dobbiamo convergere sulla collezione Calceolari-Moscardo, o meglio sul "Museo di Ludovico Moscardo". Per essere più precisi stiamo parlando di una Wunderkammer, di una raccolta di oggetti naturalistici o curiosi, messa insieme da Ludovico Moscardo "Nobile veronese, academico filarmonico" nel XVII secolo. Per essere ancor più precisi si tratta di una raccolta di pezzi originali ma anche di raccolte precedenti, la principale di queste era la Wunderkammer di Francesco Calceolari (1521-1600), celebre speziale veronese la cui tomba è a San Fermo. Talmente celebre che, come recita il cartellino nella vetrina, la sua raccolta di naturalia "nel cinquecento condivise la fama con quella di Ulisse Aldrovandi a Bologna e di Ferrante Inperato a Napoli". Nonostante il corposo elenco dei pezzi arrivati dal Calceolari, ho il sospetto però che quello che interessa a noi arrivasse da Alessandro Serego di Sigismondo o del preposito Dalla Torre.
Di cosa sto parlando?
Ovviamente di un vero alicorno, ovvero un vero corno di unicorno!
Ma veniamo alla nota dolente: i cartellini esplicativi.
- Sotto l'alicorno troviamo: "Dente di narvalo Creduto il corno del mitico "unicorno" (addirittura tra virgolette!)
- Come presentazione della vetrina troviamo: "Questi oggetti provenienti dalla Wunderkammer Calceolari-Moscardo non sono importanti in sé, ma testimoniano la curiosità erudita di un'epoca in cui si cominciava timidamente a studiare la natura iuxt propria principia. Essi erano considerati autentiche "maraviglie": conchiglie provenienti da mari lontanissimi e sconosciuti; denti di squalo, saete ceraunie, cioè fulmini pietrificati (in realtà selci preistoriche); legni di forme strane intrinsecamente misteriosi [...]

Pazienza per la prima affermazione, ma indigna la seconda: che tristezza! Svilire una così preziosa raccolta con l'affermazione "Questi oggetti [...] non sono importanti in sé".
Vorrei però soffermarmi un attimo sulle "selci pietrificate", in realtà fulmini pietrificati, per ricollegarmi sulla collezione Bellucci della quale ho accennato in questa pagina per poi parlarne più dettagliatamente in quest'altra. Se Bellucci aveva raccolto i suoi pezzi un po' ovunque, ma si era concentrato soprattutto sulla sua Umbria, è ragionevole pensare che Calceolari e Moscardo abbiano pescato soprattutto nel veronese e zone limitrofe. Ma l'interpretazione era sempre quella: curioso no?

Est inter candidas et quae ceraunia vocatur, fulgorem siderum rapiens, ipsa crystallina, splendoris caerulei, in Carmania nascens. [...] ex his quae nigrae sint ac rotundae, sacras esse; urbes per illas expugnari et classes; baetulos vocari; quae vero longae sint, ceraunias. faciunt et aliam raram admodum, Magorum studiis expetitam, quoniam non aliubi inveniatur quam in loco fulmine icto.

Tra i bianchi c'è anche quello che viene chiamato ceraunia, che cattura lo splendore delle stelle, cristallino esso stesso, di azzurro splendore, nato in Carmania. [...] di questi, quelli neri e rotondi sono sacri; città e flotte vengono conquistate da loro; sono chiamati baetuli; ma quelli lunghi, ceraunie. Ne costituiscono anche un altro rarissimo, ricercato dagli studi dei Magi, poiché non si trova in nessun altro luogo che in un luogo colpito da un fulmine.
(Plinio il Vecchio, "Naturalis Historia", Liber XXXVII)

Museo di storia naturale

Qualunque cosa accada, sospetto che l'unicorno sarà sempre con noi. Potrebbe ritirarsi nel profondo della foresta per sfuggire a tutto il trambusto che lo circonda oggi, e potremmo dover cercare più attentamente ed essere più sinceri in futuro se vogliamo trovarlo. Ma continueremo a cercare questo Santo Graal del mondo animale proprio come abbiamo fatto per millenni e, alla fine, credo che troveremo la sua gloria nel profondo di noi stessi.

No matter what, I suspect that the unicorn will always be with us. He might retreat deep into the forest in order to escape all the hoopla surrounding him today, and we may have to look harder and be more sincere in the future if we want to find him. But we'll continue searching for this Holy Grail of the animal world just as we have for millennia, and, ultimately, I believe that we'll find his glory deep within ourselves.
(Skye Alexander, "Unicorns: The Myths, Legends and Lore")

Insomma, da quando la scienza è diventata una specie di religione ha preso il peggio delle altre religioni: il controllo delle eresie, gli anatemi, l'istituzione della Santa Inquisizione. Quello che non è "scientifico" non bisogna neanche nominarlo, e se lo si fa bisogna precisare contestualmente la "verità" scientifica.
Detto questo, se prima eravamo in un museo artistico e umanistico, adesso stiamo per entrare in uno dei templi storici di questa nuova religione: il Museo di storia naturale.
Siamo su di un asse perpendicolare al precedente rispetto al museo di prima, e siamo sull'altra sponda dell'Adige, in Veronetta. La cosa bella di questo museo è che ha mantenuto l'estetica ottocentesca originale, da primordi della scienza. A gusto mio non è il primo museo che andrei a visitare a Verona, ma i veronesi che non ci hanno mai messo piede dovrebbero farlo. Anche i bambini lo apprezzano molto.
Tra animali impagliati e fossili, troviamo anche altri pezzi del Museo Calceolari/Moscardo tra i quali, ça va sans dire, un altro alicorno! E questa volta è anche bello a spirale come vuole la tradizione.
Anche qui troviamo un'edizione originale del volume del Moscardo, stavolta aperta sulla pagina giusta, e così scopriamo che tutto torna: lo struzzo è di nuovo insieme all'unicorno, esattamente come nell'hortus conclusus del Falconetto.



Now I will believe
That there are unicorns; that in Arabia
There is one tree, the phoenix throne, one phoenix
At this hour reigning there.

Ora crederò
che ci sono unicorni; che in Arabia
c'è un solo albero, il trono della fenice, una sola fenice
che vi regna in quest'ora.
(Williamo Shakespeare, "La tempesta", scena III)

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