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Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio 2020 (Ventôse - Bêche)

E' lui o non è lui? Cerrrto che è lui ... Tanguy!

Il tormentone di Ezio Greggio che serviva ad introdurre puntualmente l'ultima opera di Teomondo Scrofalo, fa più rima col maestro surrealista.
Ma prima di tutto precisiamo una cosa. Il quadro riprodotto in questo contesto, del quale l'originale è nel museo Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, può dare adito a due percezioni, due interpretazioni che alla fine sottintendono due filosofie:
1) Bah ... c'è una rassomiglianza molto vaga ed è una normalissima coincidenza
2) Da quando prendo Trenitalia ho smesso di credere alle coincidenze: c'è una somiglianza netta ed è veramente incredibile
Chi si ritrova nella prima casistica è inutile che proceda con la lettura: seguono tutte cretinate senza senso. Per gli altri ...

L'ambito

Approdato alla pittura quasi per caso, o meglio per ispirazione dopo aver visto le opere di De Chirico, amico di Matisse, Yves Tanguy è stato introdotto dal suo grande amico Prevert e da Breton al surrealismo. E' stato un grande artista, anche se ingiustamente è forse meno famoso di un Dalì o di un De Chirico.
Il suo stile pittorico è particolare, molto personale, ma rientra a pieno titolo nel surrealismo, qualsiasi sia il nostro tentativo di definire questa (si può dire?) corrente pittorica.
Per dirla con Breton:

Il surrealismo è il "raggio invisibile" che ci permetterà un giorno di vincere i nostri avversari. "Tu non tremi più carcassa". Quest’estate le rose sono azzurre, il bosco è vetro. La terra drappeggia nelle sue fronde mi fa tanto poco effetto come un fantasma. Vivere e cessare di vivere, sono soluzioni immaginarie. L’esistenza è altrove.

La conclusione del "Primo manifesto del Surrealismo" ci introduce molto bene all'opera in questione.
Fermo restando che se è difficile e riduttivo tradurre da una lingua ad un'altra, è impossibile tradurre da un linguaggio artistico ad un altro come potrebbe essere la prosa nel nostro caso. Si può forse però, anche nel caso di un quadro surrealista, cercare di evidenziarne dei particolari e di darne una lettura per assonanza nel tentativo di condividere il messaggio che si percepisce.
Quindi partiamo dall'inizio.

Il titolo

"Death Watching his Family", che potremmo tradurre come "Morte guarda la sua famiglia", potrebbe sembrare un tipico nonsense da surrealisti, da interpretare o da cogliere poeticamente. E invece no: è una citazione estrapolata dal "Traité de métapsychique" di Charles Richet, medico e fisiologo francese Premio Nobel per la medicina nel 1913 per gli studi sull'anafilassi. Questo studioso dai molteplici interessi si era interessato anche di scienze di confine ed era stato (letteralmente) allo stesso tavolo con Cesare Lombroso ed Eusapia Palladino per fare ricerca scientifica sullo spiritismo.
Ha coniato il termine "Metapsichica" (oggi in disuso, si preferisce il termine "Parapsicologia") distinguendo nel trattato in questione tra metapsichismo soggettivo ed oggettivo. Confesso di non aver letto il libro, ma da quel che capisco si distinguono fenomeni "non ancora spiegati" dalla scienza voluti dal soggetto (vedi ad esempio Uri Geller che "sembra" piegasse le chiavi con la forza del pensiero) e da quelli involontari come le premonizioni.
Ma ricontestualizziamo la frase nel discorso originale:

Nous sommes en pleines ténèbres. Déjà en métapsychique objective nous ne comprenions guère comment, à trois mille kilomètres de distance, BANCA, à la même minute où sa famille va périr , parle de mort guettant sa famille, comment le chevalier de FIGUEROA peut voir, six mois avant l'événementi un paysan, vêtu de noir, frapper la croupe d'un mulet pour le laisser monter un escalier tordu. Mais, quand il s'agit de métapsychique objective, c'est bien plus effrayant encore. a métapsychique objective est le mystère, le mystère absolu, et les tentatives d'explication qu'on hasarde paraissent assez puériles. Pourtant on n'a pas le droit de soustraire ces faits à l'investigation scientifique.

Siamo in piene tenebre. Già in metapsichica oggettiva non riusciamo a capire come, a tremila chilometri di distanza, BANCA, nello stesso momento in cui la sua famiglia sta per morire, parla di morte guardando la sua famiglia, come può vedere il Cavaliere di FIGUEROA, sei mesi prima degli eventi un contadino, vestito di nero, colpire la groppa di un mulo per farlo salire su una scala a chiocciola. Ma quando si tratta di metapsichica oggettiva, è ben più spaventoso. La metapsichica oggettiva è il mistero, il mistero assoluto, e i tentativi di spiegazione che si azzardano sembrano abbastanza puerili. Tuttavia, non abbiamo il diritto di ritirare questi fatti dalle indagini scientifiche.

Ignoro se "Banca" sia un nome proprio o se faccia riferimento ad una altra parte del libro, ma mi sembra chiaro che il nostro titolo cita una premonizione: "a tremila chilometri di distanza, BANCA, nello stesso momento in cui la sua famiglia sta per morire, parla della morte guardando la sua famiglia".
Naturalmente è assolutamente lecito pensare anche che l'estrapolazione sia stata fatta volutamente per ottenere nel contempo un altro senso. Il titolo stesso diventerebbe così parte di quel "raggio invisibile" bretoniano che è l'intera opera.

Il dipinto

La pittura, così come la poesia e le altri arti, si nutrono spesso di metafore e di altre figure retoriche. Spesso non vuol dire sempre, spesso non vuol dire totalmente.
In questo caso possiamo ipotizzare che l'artista vi abbia attinto parzialmente per quello che riguarda quattro elementi: il monolite, l'arbusto verde, il cielo e la terra. In pratica le uniche cose (quasi) riconoscibili figurativamente.
Il monolite, che noi familiarmente chiameremo "Piloton", giace ieratico al centro della scena. Dà un senso di fermezza, di immobilità in mezzo ad elementi che si muovono, che tremolano. Potrebbe rappresentare la morte? O forse un semplice punto di riferimento in mezzo ad un flusso incessante?
Il ciuffo verde, forse un arbusto, posto innanzi al Piloton richiama invece la vita. La morte, simbolicamente bianca, monolitica e ieratica, sembra incombere sulla vita simbolicamente verde, piccolina e fragile.
Poi c'è il cielo che è azzurro "d'un azzurro di stoviglia", come direbbe Gozzano, o azzurro come le rose di Breton, che sono un chiaro riferimento a qualcosa che non esiste in natura come ci ha ricordato Lynch in Twin Peaks terza stagione. Insomma non è un cielo azzurro sereno e rasserenante: è incerto, è ambiguo.
Infine c'è la terra. Se il cielo è realistico che sia mosso, la terra non dovrebbe dare questa sensazione, ma qui la trasmette senza ombra di dubbio.
Mettendo assieme anche solo questi quattro elementi opposti tra loro, piloton-arbusto/vita-morte e cielo-terra/supero-infero, abbiamo nel complesso una sensazione di cupezza, di tetraggine.
Ma se il panorama è angosciante e sinistro di suo a questo punto dobbiamo aggiungere anche l'inqualificabile, l'indefinito, il non figurativo.
Non saprei neanche che nomi usare per parlarne: ghiribizzi? Entità? Ectoplasmi? Scarabocchi? "Tu chiamale se vuoi emozioni": una sorta di colonna grigia a torciglione a sinistra, una "nuvola" nera da cui cadono dei fiocchi grigi, una specie di fantasmino quasi disneyano col naso a tromboncino, un'altra specie di fantasmino più classico, pesci e lucertole stilizzati (?). Insomma c'è di tutto, e tutto è irriconoscibile, onirico, fatto della stessa materia dei sogni, compulsiva creazione dell'inconscio, ma non di quello freudiano del rimosso stipato in soffitta, questo è un parto dell'inconscio junghiano, dell'inconscio collettivo. Queste sono entità di una realtà altra, non rappresentabili graficamente, o meglio raffigurate diversamente a seconda dell'osservatore. Scomodiamo pure Castaneda: qui siamo fuori da "l'isola del Tonal", e stiamo osservando il Nahual.

Ma cosa c'azzecca il piloton reale con quello dipinto?

A parte la somiglianza di immagine un'altra affinità c'è.
Rifacciamoci inevitabilmente al Grancelli, faro illuminante delle interpretazioni alternative dei monumenti romani a Verona. Abbiamo un cardo, ma forse più un "cardello" (vedi la torre omonima) orientato al sorgere del sole nel solstizio d'estate, con una linea retta che passa dal Castel San Pietro e dal Piloton. Quattro punti allineati, anzi un segmento più tre punti allineati, sono qualcosa di più di una coincidenza.
Se nella sommità, del colle ove sorgeva al tempo di Raterio la chiesa di San Pietro al Castello, Grancelli individua i resti di un tempio di Giano (la cisterna da poco messa in sicurezza) è proprio per questo motivo. Giano bifronte, con un volto che guarda al passato e uno che guarda al futuro e a cui è dedicato simbolicamente il primo mese dell'anno, è una divinità solstiziale. Quindi anche il nostro Piloton è un punto, un totem, solstiziale, come ci ricorda la targa posta lì accanto.
Ma le porte solstiziali, come ha evidenziato Guenon, sono l'ingresso e l'uscita della caverna cosmica. Giano (San Pietro) ne ha le chiavi: attraverso lui si può accedere al cuore, ed è questo che Guenon indica come terzo volto di Giano, quello che vede il tempo come un unicum, non più come passato o futuro.

In conclusione

Perché ho scritto questa pagina?
Perché fare un blog dove si parla solo di libri e foto delle vacanze diventa noioso. Di film ne guardo pochi e sulla Valsquaranto c'è già tutto anche in rete: dovevo inventarmi qualcosa, no?
E' meglio un noioso resoconto o una bella favola? Un romanzo è bello solo se tratto da una storia vera o anche se è di pura fantasia?
"En ma fin est mon commencement". Ab ovo: come si potrebbe dipingere una quadro che riprenda il Piloton?
Iperrealista? Ci sono già le fotografie.
Impressionista? Magari con l'etereo boschetto dietro che evidenzia giochi di luce nelle golden hours? Sembrerebbe un pò stantìo.
Metafisico? Ci siamo già di più. L'avrei visto bene in un'onirica creazione di De Chirico.
No, direi che questa visione surrealista è perfetta.
E comunque qualche giocosa puttanata dovevo pur inventarmela.

Galleria di immagini


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