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Ultimo aggiornamento: 03 Dicembre 2022 (Frimaire - Cèdre)

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino:
noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana;
e la razza umana è piena di passione.
(prof. John Keating/Robin Williams, "L'attimo Fuggente")

Reperti familiari: un po' di poesia alla buona

Di cosa di tratta - Bruscaino - El sor Gelio - La castagna - Una considerazione personale - E dopo un secolo

Di cosa si tratta

Mi sono sempre chiesto se chi dice di non aver rimpianti nella vita è sincero con sé stesso. Io di rimpianti ne ho diversi, e uno è questo: non aver trascritto quando ero bambino tutte le poesie che recitava mia nonna completamente a memoria. Per fortuna l'ha fatto mio zio, e tutto quel che resta di una serie sono queste tre che ripropongo qui sotto con traduzione letterale dal dialetto ove necessario e un piccolo commento per valorizzarle un po'. La suddivisione delle strofe è mia, e quindi è totalmente arbitraria.
L'autore è un avo per il quale la memoria mi fa difetto (bisnonno? prozio?) che le scriveva in un quadernetto che teneva sotto il bancone di lavoro. Stiamo parlando di circa un secolo fa, era l'epoca di un Carducci e di un Pascoli, ma qui ovviamente non raggiungiamo neanche il livello di un più modesto Berto Barbarani.
Consideriamo però che Carducci e Pascoli erano membri della borghesia, avevano potuto studiare, laurearsi; e anche il buon Berto, pur figlio di un proprietario di ferramenta, aveva potuto cominciare giurisprudenza a Padova. L'avo ignoto non apparteneva certo a questo ceto sociale, e la nonna credo non fosse riuscita ad arrivare alla quinta elementare.
Ma come dice la citazione che ho riportato sopra: "noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana", perciò siamo tutti autorizzati a scriverle.
E soprattutto mi deliziava l'idea che queste poesie nate in un quadernetto sotto un bancone da lavoro nei primi del novecento e tramandate oralmente per quasi un secolo approdassero alla fine su Internet.
Chissà cosa ne avrebbe detto l'autore.


Bruscaino

Bruscaino (nome proprio o soprannome?) è davanti al giudice e sta per ricevere la sentenza, essendo un "pitòco", un povero, e non avendo l'appoggio di un Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, da sempre al servizio esclusivo dei ricchi, la condanna è inevitabile. Ma le leggi italiane sono tutto sommato comprensive e mirano al recupero del delinquente e quindi alla fine, nonostante l'inevitabile ramanzina del giudice, il tutto si risolve con poca cosa.

L'originale


Bruscaino dove siete
più fuggire non potete
sulla fronte avete un neo
di un gran fallo siete reo.

El me perdona sior paron
se gò fato sto maron
ma anca lori i ma stigado
e par questo mi gò dado

Non perdono, non perdono
nella legge del condono
voi sarete imprigionato
come un cane e come un gatto.

Morirete là in prigione
come un vecchio lazzarone.
Alle fine de 'ste lagne
ha preso sei settimane.


Bruscaino dove siete
più fuggire non potete
sulla fronte avete un neo
di un gran fallo siete reo.

Mi perdoni signor padrone
se ho fatto questo guaio
ma anche loro mi hanno provocato
e per questo li ho picchiati

Non perdono, non perdono
nella legge del condono
voi sarete imprigionato
come un cane e come un gatto.

Morirete là in prigione
come un vecchio lazzarone.
Alle fine de 'ste lagne
ha preso sei settimane.

E' quasi tutta in italiano perché è la lingua dei colti, di quelli che come il giudice hanno studiato. Il povero Bruscaino anche se in situazione ufficiale e delicata non ci prova neanche con l'italiano, però ci tiene a sottolineare la sua totale sottomissione con quel "sior paròn", "signor padrone", concettualmente fuori luogo in cospetto ad un giudice, ma per i poveri le classi sociali superiori erano tutte composte da padroni.
Nonostante la scarsa cultura non può sfuggire l'assonanza con le teorie del veronese Cesare Lombroso del quarto e quinto verso: "sulla fronte avete un neo / di un gran fallo siete reo". Il padre della moderna criminologia aveva ipotizzato erroneamente (come si è dimostrato poi) che i criminali fossero identificabili da caratteristiche fisiche, in particolare legate soprattutto al cranio.
Apprezzabile anche l'ossimoro "non perdono / nella legge del condono", probabilmente nato dalla ricerca della rima.

El sior Gelio

Come si può già intuire la base ricorrente in queste poesie è quella delle differenze sociali. In questa in particolare viene analizzato l'abbigliamento di una coppia, sicuramente benestante, con una certa malcelata invidia.
La magra consolazione finale viene dal mal comune mezzo gaudio: il ricco abbigliamento e in genere i soldi non esimono dai piccoli malanni di stagione.


El sior Gelio se vestisse
con un bel par de braghe lissie
un bel dosso de parada
na belissima velada

ale mani el gavea i guanti
ale braghe i so tiranti
un cappello de quei grandi
ala brotusca ma orlandi

un sigaro piemontese
ala mano la sua canna
i mostacci ala francese
la moschetta al'italiana.

El comincia andar de passo
pa la strada de Verona
el se invia con la sò dona.
La gavea un abito anca ela

molto mejo ma de tela
un grembiulin che pardiana
el costava una sovrana
un diamante de quei fini

quatro vere dù recini
scarpe rosse, mal de gola e un po' dè tosse:
ecchè, ecchè, ecchè.


Il signor Gelio si veste
con un bel paio i pantaloni lisci
una bella giacca da parata
una bellissima velata

alle mani aveva i guanti
ai pantaloni le sue bretelle
un cappello di quelli grandi
alla "brotusca" ma "orlandi" [intrad.]

un sigaro piemontese
alla mano la sua canna
i mostacci alla francese
la moschetta all'italiana.

E comincia andare a spasso
per la strada di Verona
si avvia con la sua donna.
Aveva un abito anche lei

migliore, ma di tela
un grembiulino, che perdiana,
costava una sovrana
un diamante di quelli fini

quattro anelli due orecchini
scarpe rosse, mal di gola e un po' di tosse:
ecchè, ecchè, ecchè. [onomat.: colpi di tosse]

Quando la sentivo recitare non mi sono mai posto il problema di chiedere chiarimento su quel "ala brotusca ma orlandi", e onestamente con tutta la potenza di Internet non sono riuscito trovare cosa diavolo vogliano dire questi termini.
Non deve stupire invece la "sovrana", che sostanzialmente è una moneta estera: ad esempio prima dell'avvento dell'euro, in dialetto veneto si usava il termine "franchi" al posto di "lire" ("mile franchi", "diesemila franchi")

La Castagna

E' tutta in italiano questa che potremmo definire una breve filastrocca.


La castagna è un dolce frutto
che ci piace a tutti quanti
artigiani e negozianti
alla gente di campagna
evviva sempre la castagna.

Quella che per i poveri della città era una piccola delizia, una golosità, per chi le produceva, raccoglieva e trasformava era invece l'unico sostentamento. Francesco Guccini ci ha scritto un piccolo trattato su come nell'economia rurale di montagna la castagna rappresentasse il tesoro più prezioso. Da bambino seguiva e aiutava i nonni e così elenca le lavorazioni che poteva avere e i sottoprodotti che generava. E tutto questo solo per dire che adesso da adulto di castagne non vuol più sentirne parlare.

Una considerazione personale

Sono sempre un po' dubbioso nell'inserire "eredità familiari" in questo sito, com'è successo ad esempio per la pagina dei "Filmini anni '60: un'alta testimonianza in bassa qualità" (che ragionandoci bene sopra poi mi sono reso conto che in realtà erano più probabilmente degli anni '50).
Sono cose se vogliamo di scarso valore, di bassa qualità, però mi sembra che alla fine possano essere interessanti come testimonianza di un'epoca.
Ma è anche la testimonianza di un punto di vista, è lo sguardo della povertà che all'inizio del '900 statisticamente era la normalità. Per puntualizzare, cerchiamo di definire meglio il termine povertà. C'è un confine abbastanza preciso tra povertà e miseria: nella prima c'è il sostentamento ma niente di più, nella seconda non c'è neanche quello. Il che non vieta che questo confine venga varcato in un senso o nell'altro qualche volta oppure mai.
Orbene in queste poesie c'è quella povertà decorosa che guarda con un pizzico di invidia i ricchi, che non si fa illusioni verso i potenti e che sa godere delle piccole gioie della vita.

E dopo un secolo

Dopo un secolo la situazione economica è oggettivamente cambiata. Non che non esista più la povertà, ma obiettivamente in media si sta molto meglio, anche se purtroppo la situazione è in costante peggioramento.
La poesia, quella sì, è cambiata.
Di libri di poesia se ne fanno pochissimi, e molti editori anche di bocca buona specificano subito di non volerli neanche vedere perché, com'è intuitivo, non si vendono, e i quaderni di poesie sono stati sostituiti da dispositivi elettronici dove per i più coraggiosi la diffusione è soprattutto sui social.
Quindi è sparita la poesia?
A mio avviso si è trasferita nel settore "musica leggera", con buona pace di Adorno, e in tempi più recenti nel Rap, che senza tante ipocrisie può fare anche a meno della base musicale.
E infine arriviamo al prezioso reperto che si può vedere in fotografia e che è una novità (almeno per me).

Targa

C'erano una volta, e purtroppo ci sono ancora adesso, gli "innamorati imbrattatori", quelli che con i loro maledetti pennarelli scrivevano cuoricini e sigle misteriose, tipo "T.V.T.B.", sui marmi degli edifici anche storici. Qualcuno più azzardato arrivava anche a piccole strofe ispirate, di poesia spirata.
Ecco che ora sembra che siamo arrivati al livello "imbrattatore 2.0": la poesia per "Giusy" che si vede è scolpita nel marmo, più duraturo anche di un lucchetto, e saldamente incollata sul marmo della terrazza di Castel San Pietro. Per i diversamente veronesi diciamo che si tratta della terrazza sulla sommità del colle che domina Verona, e da cui si gode una vista a dir poco meravigliosa.
(Cliccare sull'immagine per vederla ingrandita).
Dell'autore troviamo scarne tracce in rete: quello che sembra dirci di più è Instagram e da quel che si vede nelle foto non è l'unica installazione che ha fatto. Chi sia Giusy invece non ci è dato di sapere. Forse è una musa come Marlena dei Manneskin, o forse è una ragazza ignara di essere oggetto di tante attenzioni, o più probabilmente è la fidanzata di "Icaro.Primo". Una cosa però la sappiamo con assoluta certezza: Giusy non lavora per la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza altrimenti il cadavere di Icaro.Primo giacerebbe sfracellato al suolo nel prato prospicente il muretto, ad emulazione del figlio di Dedalo.

Il contenuto dell'installazione è in fondo simpatico anche se non eccelso. Non c'è l'originalità e il coraggio di un poeta come Saba che paragonava sua moglie a una gallina con una raffinatezza ed un'eleganza superbe ("Tu sei come una giovane / come una bianca pollastra. / Le si arruffano al vento / le piume, il collo china / per bere, e in terra raspa; / ma, nell'andare, ha il lento / tuo passo di regina / ed incede sull'erba / pettoruta e superba."), però qualche piccolo azzardo poetico c'è anche qui. Quel "Sei bella come la morte" può portare solo ad un "Ma va in mona" definitivo oppure ad un matrimonio felice "fin che morte non vi separi" (statisticamente il cinque per cento delle coppie).
Ovviamente non è originalissimo l'accostamento Eros-Thanatos, però è coraggioso nel settore "muretti storici". Personalmente l'ho ritrovato anche nel supporto, infatti appena l'ho visto mi sono chiesto: "ma dove si può far fare un manufatto de genere?". Non certo in copisteria dove rilegano le tesi di laurea o da un tipografo. E la prima risposta che mi è venuta è ... ad un'agenzia di pompe funebri ovviamente.
Speriamo che non se lo sia chiesto anche Giusy.


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L'originale
L'originale
Targa
Targa
Targa
Targa
Targa
Targa

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