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Ultimo aggiornamento: 14 Giugno 2025 (Prairial - Jasmin)

Il serpente rappresenta la libido che si introverte.
Attraverso l'introversione si viene fecondati da Dio,
ispirati, ri-procreati e rigenerati.
(Carl Gustav Jung)







La conferenza di Aby per uscire dal sanatorio

Genesi del libro - Sul campo - Antropologia - Cerimonie e significati - In generale

Genesi del libro

"Il rituale del serpente" (A Lecture on Serpent-Ritual) è uno di quei testi di cui non si può evitare di raccontarne l'origine. Questo non tanto per dimostrarne la sua validità, cosa che a mio avviso in generale dovrebbe prescindere dall'autore e dal contesto, ma perché la sua genesi è interessante e simpatica.
Aby Warburg è stato uno storico dell'arte e critico d'arte tedesco, almeno secondo Wikipedia in italiano. Personalmente trovo più corretta la definizione nella versione wikipediana tedesca: "è stato uno storico dell'arte e scienziato culturale tedesco. [...] Ha stabilito l'iconografia come disciplina autonoma della storia dell'arte".
Sorvolando sul classico invito scolastico "dillo con parole tue", prendo direttamente da Wikipedia (me lo merito: ho firmato per dar loro il 5 per mille!):

Dal 1918 al 1924 soggiornò ripetutamente nel sanatorio di Kreuzlingen a causa di una grave malattia mentale. Nel 1923, al termine di uno di questi soggiorni, per dimostrare la propria guarigione, rivolse un «discorso d'addio» a pazienti e medici del sanatorio: una conferenza sul rituale del serpente, partendo dalla sua esperienza presso gli indiani Pueblo del Nuovo Messico. La prolusione fu pubblicata per la prima volta nell'articolo A Lecture on Serpent-Ritual in «Journal of Warburg Institute», II, 1939.

Nel libro è presente anche una sua lettera scritta successivamente ai medici che avevano copia del discorso, incitandoli a non divulgarlo perché, col senno di poi, gli sembrava fatto male, disordinato, non ben documentato. Evidentemente per fortuna il buon senso ha prevalso: meritava di essere pubblicato e divulgato. Possiamo dire che il paziente era decisamente guarito.
Per entrare poi nello specifico del libro, premetto che è diviso in due parti: il discorso vero e proprio e un saggio di Ulrich Raulff che analizza acutamente il discorso.

Sul campo

Alla base del libro non ci sono resoconti di altri antropologi: il materiale che va ad analizzare Warburg è suo. E' andato personalmente presso i Pueblo, i nativi americani stanziati tra Nuovo Messico e Arizona, e le cerimonie che descrive le aveva viste in prima persona, così come sono sue le foto mostrate durante il discorso e riportate nel libro (peraltro riccamente illustrato). Contemporaneamente ammette anche che il periodo in cui ha potuto osservarli era troppo limitato per un'analisi approfondita, si trattava infatti di poche settimane però, a mio avviso, piuttosto intense visto il risultato.
Un altro limite evidenziato a malincuore dall'autore è quello delle stratificazioni successive che la cultura Pueblo ha assorbito, perdendo così molto della tradizione originale. Inevitabilmente il tempo opera modificazioni e qui stiamo parlando di secoli, dall'arrivo dei conquistadores spagnoli in poi, e quindi c'è stato il fenomeno del sincretismo che possiamo osservare un po' ovunque, in particolare nelle americhe e in Africa.
Come specifica Wikipedia i Pueblo non derivano né geneticamente né culturalmente dagli Anasazi a differenza degli Hopi/Zuñi, però qualche elemento l'hanno importato. Quando Warburg ci parla di cerimonie che si svolgono nel segreto dei "Kiva", queste stanze circolari sono state edificate dagli Anasazi sempre per delle cerimonie mistiche. E quando ci mostra una foto dell'interno di una casa dove alla parete sono appese delle bambole Kachina, queste sono in generale considerate delle bambole della cultura Hopi, anche se poi specifica Wikipedia: "Altri popoli Pueblo e successivamente scultori Navajo scolpiscono figure simili al kachina tihu come opere d'arte".

Antropologia

Temo di appartenere a quella categoria che Gabbani derideva nel suo "Occidentali's Karma": "tutti tuttologi col web". Credo però che sia doveroso interessarsi culturalmente di un po' di tutto: di arte, di letteratura, di geografia, di storia e via elencando, e quindi (perché no?) anche di antropologia. Certo gli esperti sono un'altra cosa, però ognuno di noi ha non solo la facoltà, ma anche il dovere di formarsi un'opinione che, inevitabilmente, può scostarsi da quella degli esperti.
Se quest'opinione, quest'idea che ci si fa e che si esprime pubblicamente, magari col web raggiungendo potenzialmente milioni di persone (forse una decina scarse nel mio caso), se non è esposta maleducatamente, fanaticamente stile hooligan allo stadio, penso che possa arricchire comunque la discussione.
Evidentemente l'hanno pensata così anche altri: Aby Warburg era principalmente uno storico dell'arte e non un antropologo eppure ha fatto questo studio sul culto del serpente. E anche Ludwig Wittgenstein non era un antropologo, ma un "filosofo e logico", eppure ha scritto un libro di obiezioni a "Il ramo d'oro" di Frazer, questi sì un antropologo. Di quest'ultimo libro ho parlato in questa pagina.
Il parallelo tra i due autori non specificatamente antropologi sorge spontaneo anche perché, come vedremo, entrambi giungono a delle conclusioni che hanno qualcosa in comune.

Cerimonie e significato

Sono due gli animali totemici dei Pueblo: l'antilope e il serpente. Per la prima viene descritta e documentata la "danza delle antilopi", con tanto di foto, ma è sul culto del secondo che si concentra l'analisi del discorso.
Se delle antilopi c'è solo la pelle indossata dai danzatori, nel rito del serpente ci sono serpenti vivi ai quali non viene tolto il veleno. Sono maneggiati disinvoltamente, vengono messi in bocca (sic), lavati, lanciati e alla fine liberati, ma in tutti questi passaggi sembrano non esserci mai incidenti. Comunque, come dicono gli anglofili: don't try this at home!
Ad esempio nella cerimonia che a Walpi dura sedici giorni i serpenti

sono custoditi dai capi dei clan dell'antilope e del serpente nella camera sotterranea, la kiva, dove vengono sottoposti a riti particolari, il più significativo dei quali - e il più stupefacente per i bianchi - è il loro lavacro. Il serpente viene trattato come un iniziando ai misteri, e nonostante la sua riluttanza immerso con la testa nell'acqua consacrata, in cui sono state sciolte varie sostanze medicamentose.
Poi esso viene scagliato su una pittura fatta con la sabbia sul pavimento della kiva, raffigurante quattro serpenti-fulmine con un quadrupede al centro.

Il fatto che alla fine del rito i serpenti vengano poi lasciati liberi di andare porta al significato ultimo del rito.

In questo rituale il serpente non viene quindi sacrificato, ma soltanto trasformato in un messaggero attraverso la consacrazione e dietro l'influsso della danza mimetica: tornato alle anime dei defunti esso potrà così, sotto forma di fulmine, suscitare il temporale. Tutto questo ci dà un'idea di come nell'uomo primitivo mito e pratica magica siano strettamente intrecciati.

Questa considerazione, ad esempio, ci avvicina ai sopracitati commenti di Wittgenstein a "Il ramo d'oro": i riti di questi "uomini primitivi" sono strettamente logici, non ingenui. Sono pratici e perciò non sono assurdi.
A proposito della danza della pioggia riportata con sufficienza da Fraser, Wittgenstein è tranchant: chi la esegue non è tanto ingenuo da non sapere che prima o poi pioverà comunque, stiamo parlando di persone a stretto contatto con la natura. Però il rito si armonizza in modo logico con la natura stessa perciò è logico, al contrario dell'antropologo che sorride davanti ad esso forte di una tecnologia che ancor oggi, nel 2025, non è in grado di far piovere quando la siccità incombe.
Nella postfazione Ulrich Raulff ce lo dice citando Ernst Cassirer: "Cassirer si sforza poi di definire il pensiero mitico in rapporto a quello scientifico, giungendo alla conclusione che il pensiero mitico non ignora affatto il principio di causalità, solo lo applica in modo diverso rispetto al secondo" Prima ho messo il virgolettato sugli "uomini primitivi" perché la chiusura del discorso, più poetica che mai, rivaluta costoro e nel contempo ridimensiona duramente la nostra civiltà tecnologica. Riporto qui sotto l'ultimo paragrafo perché merita, sembra di sentire Husserl che parla di una scienza "scoprente" ma nel contempo "coprente".
Stiamo perdendo molto per strada.

Le forze della natura non sono più concepite come entità biomorfe o antropomorfe, ma come onde infinite che obbediscono al comando dell'uomo. In questo modo la civiltà delle macchine distrugge ciò che la scienza naturale derivata dal mito aveva faticosamente conquistato: lo spazio per la preghiera, poi trasformatosi in spazio per il pensiero.
Il moderno Prometeo e il moderno Icaro, Franklin e i fratelli Wright, inventori dell'aeroplano: sono loro quei funesti distruttori della distanza che minacciano di far ripiombare il mondo nel caos.
Il telegrafo e il telefono distruggono il mondo. Il pensiero mitico e il pensiero simbolico, nel loro sforzo per spiritualizzare il rapporto fra l'uomo e il mondo circostante, creano lo spazio per la preghiera o per il pensiero che il contatto elettrico istantaneo uccide.

[Ho trovato in rete una versione in inglese, non so se corretta, che usa il termine "devozione" al posto di "preghiera", il che sposterebbe, ma solo leggermente, il significato]

In generale

Il discorso, al di là dell'occasione particolare in cui è stato tenuto, non è isolato all'interno del pensiero di Aby Warburg, anzi. Sempre nella parte finale, prima della mirabile chiosa di cui sopra, l'autore dimostra come anche la nostra civiltà, la nostra cultura, abbia avuto un passato in cui il serpente assumeva un significato positivo, quindi al di là di quello iniziale della Genesi dov'è colpevole di tutte le disgrazie dell'umanità. Ad esempio, sempre nell'antico testamento Mosè con un serpente di bronzo su un'asta consente agli israeliti di sconfiggere sia i nemici che i serpenti che li avevano invasi durante la terribile battaglia contro il re cananeo Arad.
Poi l'autore richiama i serpenti legati al culto nell'antichità: dalle Menadi a Laocoonte, da Asclepio al "Venditore di Antidoto contro il Morso di Serpente" presente a Palazzo Te a Mantova, ma l'elenco è ben lungi dall'essere esaustivo. Potremmo aggiungere Quetzalcoatl il serpente piumato azteco e la Dea dei serpenti minoica, ma a mio avviso il più interessante di tutti potrebbe essere uno dei simboli gnostici della sapienza divina: il glicone. E per finire, tornando ab ovo alla citazione iniziale, con la Kundalini potremmo ricollegarci a Jung. Ma qui il discorso si farebbe lungo.
Dicevo che tutto questo si inserisce in un discorso più ampio che Warburg espone nel paradigma delle pathosformel: "Con il termine Pathosformel (pl. Pathosformeln, in italiano formule patetiche o formule di pathos) coniato da Aby Warburg nei primi anni del '900, si intendono alcune immagini archetipiche che ritornano in contesti differenti attraverso i secoli della storia dell'arte". O per dirla con parole sue:

Le diverse epoche si sovrappongono come sedimenti di differenti fasi geologiche, pronti a far riemergere improvvisamente dal sottosuolo un'immagine assente da tempo.

Insomma l'intero discorso è la contestualizzazione del rituale del serpente all'interno di queste pathosformel. Ecco quindi che lo storico dell'arte non solo è autorizzato a fare un'incursione nel campo dell'antropologia, ma può dirsi esperto a tutto campo.
Viceversa è lo scienziato che rischia di guardare a rituali, miti e simboli con uno sguardo erroneo, perché vuole (nel migliore dei casi) semplicemente catalogare, raccogliere, al limite fare qualche parallelismo, e quest'ultimo in particolare dal punto di vista scientifico non ha alcun senso se non si riesce a dimostrare una derivazione diretta o una congiunzione tra le culture analizzate. L'archetipo non è contemplato dalla scienza.

Autore: Aby Warburg
Titolo: Il rituale del serpente
Editore: Adelphi
Copertina: Brossura
Pagine: 120
Anno di pubblicazione: 2023 (I° ed.1988)
Dimensioni: 22 × 14 cm
EAN: 978-88-459-9-1385-3
Prezzo: 18 Euro

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