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Ultimo aggiornamento: 17 Dicembre 2022 (Frimaire - Liège)

Anna rispondi
Dammi la mano
Anna viviamo
L'amore a volte fa miracoli
Ci si perdona e non si sa perché
Io l'ho capito per telefono
Che ti eri persa dentro te
(Marco Masini, "Anna viviamo")

Dov'è Anna lo sa Kierkegaard


Sceneggiato - La struttura della trama - L'elemento dissonante - Un documento di quegli anni - Kierkegaard - La triste fine


Sceneggiato

Degli sceneggiati, e in particolare di quelli degli anni'70, ho avuto già modo di parlare a proposito del libro "Un turista nel mondo delle ombre" su Daniele D'Anza.
Questi erano prodotti televisivi a basso costo ma con un alto livello di recitazione, di musiche e di sceneggiatura (come suggerisce il nome stesso), e perciò non mi sentirei di paragonarli alle moderne "fiction" televisive. E se con la regia di Daniele D'Anza abbiamo raggiunto alte vette in quest'ambito, con le sceneggiature di Biagio Proietti non siamo da meno. Dall'incrocio di questi due fuoriclasse poi sono usciti capolavori come "Ho incontrato un'ombra", "Coralba" e "L'ultimo aereo per Venezia".
Se in questi giorni c'è stata la "heartbreaking news" della morte di Angelo Badalamenti, in Marzo c'era stata, ahimè, quella di Biagio Proietti colpito oltre che dalla morte anche dalla maledizione degli sceneggiatori: essere dimenticati e ignorati dai media e dal pubblico. Attori e registi se la cavano decisamente meglio, eppure spesso quel che fa la differenza è la sceneggiatura, e se non è buona quella tutto il film, sceneggiato o quant'altro diventa inevitabilmente un flop.
In quest'implacabile dimenticatoio sono finiti, oltre agli sceneggiatori (in generale), anche tutti gli sceneggiati propriamente detti, che non solo non sono pervenuti alle nuove generazioni, ma sono stati rimossi anche da chi li aveva visti all'epoca. Ecco quindi che mi sento autorizzato a parlare di "Dov'è Anna?" anche se (cito testualmente da Wikipedia): "questo giallo all'italiana per il piccolo schermo è andato in onda in prima visione sulla Rete 1 della Rai dal 13 gennaio al 24 febbraio 1976, rimanendo agli annali come la fiction di maggior successo nella storia della televisione italiana".

La struttura della trama

Come mi trovo ripetutamente a ripetere in questa sezione del sito, sarebbe meglio vedere ciò di cui parlo prima di leggere perché sono costretto immancabilmente a, come si suol dire, "spoilerare" tutto, ovvero ad anticipare non solo il finale ma anche l'evolversi della vicenda.
La trama in sé può sembrare abbastanza semplice come struttura, ma allo stesso tempo è abbastanza raffinata da offrire diversi spunti di lettura. In breve: c'è una coppia di sposi che ci viene introdotta felice nella propria quotidianità. Ad un certo punto però la moglie, Anna, non torna a casa e il marito, Carlo, denuncia la scomparsa alla polizia. Passa il tempo, la sparizione va a finire anche su tutti i giornali, e dopo tre mesi infruttuosi la polizia, nella persona del commissario Bramante, abbandona le ricerche.
A questo punto Carlo, innamoratissimo della moglie e disposto ad accettare anche la più triste verità, comincia a fare delle ricerche per conto suo approfittando anche del suo lavoro di venditore di enciclopedie porta a porta.
Lo sceneggiatore ci porta così su varie false piste fino alla puntata finale dove Carlo intuirà finalmente la verità ma lascerà, come il mediano di Ligabue, la polizia a finalizzare il gioco. Potrei aggiungere come sarebbe giusto e logico nella realtà, ma per gli sceneggiatori moderni anche il più improvvisato degli investigatori deve risolvere la situazione per conto suo come un antico eroe.
Le false piste sono tre, che offrono almeno due quadri di lettura interessanti come vedremo. Ce ne sarebbe anche una quarta, che però personalmente trovo in più, quasi un riempitivo, e secondo il mio umile punto di vista stona nel complesso. Quindi partirei proprio da questa, solo per completezza, per poi non citarla più.

L'elemento dissonante

L'elemento dissonante è rappresentato dalla quarta puntata (va da sé che non sto seguendo la cronologia), e siamo più o meno a metà della serie.
Carlo nelle proprie indagini collabora con Paola, l'ex collega della moglie, la quale contestualmente sta abbandonando un amante, Guido Cesari, che accorgendosi dell'avvicinamento anche sentimentale tra Carlo e Paola, scrive una lettera anonima al commissario Bramante per far convogliare i sospetti su Carlo come uxoricida.
Ora giunti a questo punto della vicenda, né il commissario Bramante, né lo spettatore, né la bella Paola sono disposti a credere ad una cosa del genere. Quindi la domanda che sorge spontanea è perché inserire questa falsa pista?
Se fossimo davanti ad un normale, e quindi banale, prodotto di intrattenimento non starei neanche a pormi la domanda, ma in questo elegante intreccio sembra purtroppo che si sia allungato il brodo.
Altro elemento dissonante rispetto alle altre tre, è che questa falsa pista si crea contestualmente all'evolversi delle indagini di Carlo. Le altre tre invece emergevano dalla vita segreta, diciamo così, di Anna, anche se il termine "segreta" suona male, sarebbe meglio dire nella vita privata di Anna, della quale non aveva reso partecipe il marito.
Nell'imbattersi in nuove scoperte su sua moglie, Carlo, e insieme a lui lo spettatore, sospetta svariate volte Anna di adulterio, ma alla fine, quando avrà sviscerato ogni dettaglio della sua vita privata scoprirà che la moglie gli è sempre rimasta fedele.
Quest'emergere un pezzo alla volta di un'Anna nascosta, riservata, ma sempre fedele e innamorata, non si accorda con questa dissonanza, questa piccola e squallida vicenda del classico amante non rassegnato e ingiustamente rancoroso.
Niente di grave comunque, si tratta solo di una puntata.

Un documento di quegli anni

Le altre tre false piste proposte danno invece almeno un valore aggiunto, soprattutto oggi dopo quarantasei anni: ci forniscono uno spaccato degli anni '70 che non si trova facilmente.

La prima, e più in generale l'inizio, ci riportano di botto in un'epoca dove la vita poteva anche assomigliare a quella odierna perché c'erano auto, aerei e l'abbigliamento tutto sommato non era molto distante da quello contemporaneo. Poteva assomigliare ... ma le differenze le troviamo subito dalla clamorosa assenza di computer sulle scrivanie e soprattutto, dai telefoni. Niente cellulari: per telefonare bisognava trovare una cabina e, quando serviva, essere rintracciabili non era così semplice.
Ma soprattutto questa prima falsa pista rappresentata dal ricatto del datore di lavoro di Anna ai danni del proprio suocero, con il conseguente omicidio, ci porta dalla fascia bassa della borghesia, rappresentata dalla coppia Carlo e Anna, a quella più alta, rappresentata da Roberto Lari e Piero Santi, per poi mostrarci anche quella miseria, a pochi passi dalla capitale, che era ancora presente in quegli anni, e che poi è andata via via scomparendo.

La seconda falsa pista ci porta poi ad una situazione difficile da pensare al giorno d'oggi: la vendita delle adozioni da parte di ragazze madri povere e disperate. Il grande cruccio nella vita di Anna era quello di non poter avere figli, per cui aveva individuato in una clinica compiacente la soluzione, il tutto all'insaputa del marito.
La maggior parte delle adozioni in Italia oggi credo che arrivino dall'estero, da situazioni forse peggiori di quelle che ci vengono presentate nello sceneggiato; eppure il vedere queste donne, queste ragazze disposte a vendere il proprio neonato da una parte consapevoli che forse avrà una vita migliore, decorosa, dall'altra bisognose di denaro, ci fa emergere un'Italia che non conosciamo e che non riusciamo ad immaginare.

La terza falsa pista ci porta infine nel mondo dei manicomi. Dalla Legge Basaglia è cambiato tutto, ma per capire come andavano le cose ante-Basaglia, la vicenda qui narrata è perfetta. L'ex fidanzato di Anna, Gianni, era stato ricoverato in manicomio anni prima, da allora la sua famiglia l'aveva disconosciuto e ufficialmente raccontava a tutti che se ne era andato, che non era rintracciabile. La realtà era che Gianni era guarito nel frattempo, ma nessuno della sua famiglia era disposto ad accoglierlo: Anna era venuta a saperlo e cercava di convincere un suo zio a farlo. Carlo, impietosito, finirà l'opera iniziata dalla moglie.
Se ogni tanto imprechiamo contro la Legge Basaglia, specie a fronte dei vari femminicidi, dovremmo fare mente locale a quest'assurda possibilità che c'era prima: essere sani di mente e costretti a restare in manicomio per tutta la vita.

Ovviamente un po' tutti gli sceneggiati e i film ambientati in quegli anni forniscono una testimonianza, per quanto nell'ambito della finzione, di quell'epoca. Obtorto collo quelli polizieschi vanno ogni tanto a pescare in situazioni che per fortuna non ci sono quasi più, ovvero quelle baraccopoli ai margini delle grosse città dalle quali poi nascevano crimini e criminali. Però credo che non molti film o sceneggiati abbiano affrontato temi come la vendita di adozioni o la situazione dei manicomi.

Kierkegaard

Nella sua opera più famosa, "Aut-Aut", il filosofo danese comincia a sancire i primi due dei tre modi di affrontare la vita: il modo edonistico e il modo etico. A ciascuno di questi due modi associa un personaggio: Don Giovanni come edonista e il giudice Wilhelm come personaggio etico. Nelle opere successive, come "Timore e tremore", affronta invece quello che considera il metodo soddisfacente, corretto, completo, ovvero quello della fede, e nel far questo prende a riferimento Abramo nell'atto di sacrificare su richiesta di Dio il suo unico figlio Isacco.
A riprova che Kierkegaard nella sua classificazione forse c'aveva preso in pieno, arriva la nostra sceneggiatura. Ecco quindi che nelle tre false piste seguite da Carlo possiamo ritrovare questi tre modi esistenziali.

Don Giovanni: nella prima falsa pista ci imbattiamo, come si diceva, in Roberto Lari, sposato presumibilmente per interesse con la figlia di Pietro Santi e contestualmente marito infedele. Fedifrago e organizzato con tanto di villetta per i suoi incontri clandestini, Roberto è orientato al denaro per puro edonismo, esattamente come è orientato verso il sesso, e come per Don Giovanni la sua etica e la sua morale sono condizionate alla ricerca del piacere. E come ci spiega il filosofo danese non è soddisfatto: potrebbe vivere bene nonostante le vicissitudini economiche della sua azienda grazie al suocero ricco, ma vuole di più, molto di più.

Giudice Wilhelm: Anna e Carlo sono una coppia felicemente sposata a cui manca solamente una cosa per la felicità più completa, perlomeno dal lato di Anna: un figlio. La famiglia e il rispetto dei valori etici è ciò che sta alla base del giudice Wilhelm. E i valori etici sono anche alla base sia di Carlo che di Anna, e in particolare per quest'ultima vediamo che se anche per tutte le puntate viene messa in discussione la sua fedeltà, alla fine si potrà verificare la sua perfetta integrità di moglie a dispetto di qualche piccolo segreto nei confronti del marito. Segreti però che non intaccano in nessun modo il giuramento nuziale. Ecco quindi che sono decisamente più sereni di Roberto Lari, ma anche qui manca qualcosa. Secondo Kierkegaard siamo un passo avanti, ma per raggiungere la completezza dell'esistenza occore qualcosa in più.

Abramo: quando parla di fede il filosofo danese sottindende la follia della fede. Fede è irrazionalità, la stessa irrazionalità che guida Abramo pronto a trasformarsi in un omicida e del proprio figlio per giunta. L'irrazionalità di credere in Dio, di cibarsi col corpo di suo figlio mangiando un pezzo di pane: è la pazzia, per i cristiani, a guidare la propria esistenza su sentieri che la normalità non concepisce.
E la pazzia non è solamente quella di Gianni, ex fidanzato di Anna rinchiuso in manicomio a suo tempo e ora (forse) sano di mente: la pazzia è anche quella di Carlo che prosegue l'attività di sua moglie per liberare il suo ex fidanzato, quello che per Carlo poteva essere un concorrente, dalla prigione in cui è rinchiuso. E tutto questo dopo che Gianni l'ha anche provocato in modo pesante, dicendogli di aver ucciso lui Anna. E ancora c'è la scelta irrazionale che è quasi assimilabile a quella di Kierkegaard stesso che aveva rifiutato la propria fidanzata: c'è un nuovo amore che gli si propone spontaneamente, un nuovo amore con Paola che non avrebbe niente di immorale, in fondo lui è vedovo e giovane ancora. Eppure lo rifiuta, rifiuta qull'opzione ammessa anche dalla chiesa Cattolica, "finchè morte non vi separi", preferendo la fedeltà assoluta: una pazzia per il mondo, ma un poeta direbbe forse che c'è della grandiosità in questo.

La triste fine

Ne "La malattia mortale" Kierkegaard ci descrive la disperazione non come la paura di dover morire, ma piuttosto come l'incapacità di morire, di accettare la morte, questo momento di transizione che non dovrebbe spaventare un cristiano.
Ecco che parallelamente nella puntata finale la spiegazione finale arriva più che come una catarsi, come uno scrutare nell'abisso dell'umanità.
Anna è stata uccisa solo perché assomigliava alla moglie dell'ingegnere Giulio Recani, che a causa di problemi finanziari rischiava un tracollo economico: per non diventare poveri i coniugi Recani simulano la morte di lei, della moglie, in un incidente in modo da poter incassare la polizza sulla vita. Per rendere credibile la messinscena hanno bisogno di un corpo di donna che somigli alla signora Recani: Anna per l'appunto.
Quindi neanche la paura della morte, ma la ben più squallida paura della povertà li ha mossi. E sempre la paura, in questo caso di essere scoperta e catturata, è il sentimento che alla fine l'assassina Franca Recani dichiarerà ai poliziotti cercando compassione: il terrore che provava ogni volta che c'era qualcuno alla porta. Un po' come dire: "guardate quanto mi avete fatta soffrire".
E Anna?
"Per noi era solo un corpo".

E' evidente che non c'è nessuna etica, è chiaro che siamo di fronte al nulla assoluto, all'abisso. Ma questo ci era stato anche preannunciato dalla sigla iniziale, fin dalla prima puntata.
Nelle esperienze di NDE, di esperienze ai confini della morte, la più classica delle visioni descritte è forse quella di attraversamento di un tunnel buio, andando verso la luce. Dipinta magistralmente da Bosch, questa visione è talmente abusata da diventare un luogo comune nel linguaggio.
Ecco che invece tutte le puntate iniziano mostrandoci esattamente al contrario i tre personaggi principali, Carlo, Paola e il commissario Bramante, che lasciandosi alle spalle la luce si avviano verso il buio del tunnel. I visi sono seri, non sono certo estatici, anzi sono quasi tristi, e il passo è deciso, senza esitazioni.
Alla fine hanno trovato la verità, ma verità non significa felicità. Tutti e tre sono stati sconfitti: Carlo che era felice con Anna ha perso sua moglie, Paola che credeva di aver trovato l'amore in Carlo si accorge che non è possibile e il commissario Bramante ha una doppia sconfitta, umana e professionale. Quella umana quando si trova di fronte alla confessione di Franca Recani: forse non aveva mai arrestato un mostro simile, qualcosa di non più umano ormai. Quella professionale perché la soluzione del caso non era sua, lui ha fallito quando ha rinunciato alle indagini, quando non ha saputo andare nella giusta direzione. La soluzione è di Carlo non sua (così come anche la soluzione degli altri casi risolti sempre grazie alle indagini di Carlo).

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